La Via dei Monasteri
Premessa
In un periodo di rapidi spostamenti, mentre è diventato di moda andare molto lontano e visitare luoghi esotici, può sembrare strano presentare degli antichi itinerari, in particolare una Via dei Monasteri, quando di quei monasteri nelle nostre valli non esiste quasi più traccia visibile.
E’ il nostro un invito a riappropriarsi del senso del tempo, a ritornare pellegrini, non solo per recuperarne lo spirito, ma soprattutto per imparare a vedere con occhi nuovi una realtà e un ambiente in gran parte ancora incontaminato, per scoprire e apprezzarne la bellezza.
Le altezze modeste dei monti che si incontrano non hanno mai costituito un ostacolo al muoversi della gente ed ecco il fiorire del reticolo di strade, di percorrenze, di vie alternative. L’intenso movimento di uomini, lo scambio di merci e di idee per tutto il Medioevo è una delle radici della nostra civiltà: il pensare di calcare oggi le orme di quella umanità antica aggiunge emozione a escursioni già bellissime per paesaggio e ambiente.
Una carta è un semplice strumento per offrire ai turisti, ma anche a noi spunti per conoscere la nostra storia, il nostro ambiente e quindi la nostra identità.
Bobbio, infatti, fondata nel 612 o 614 da S. Colombano, fu un grande centro culturale e librario, con beni che si estendevano dai laghi prealpini fino alla Toscana; tra di essi anche Calice di Bedonia e Borgo Val di Taro, mentre attraverso la dipendenza monastica di Boccolo dei Tassi, ora nel Comune di Bardi, la grande abbazia longobarda di S. Colombano dell’alta Val Trebbia attraverso la Via dei Monasteri garantiva il collegamento a Pontremoli con la Via Francigena di Monte Bardone.
Da Piacenza, dunque, che nel Medioevo risulta dotata di un numero elevato di ospitali per assistere i pellegrini, attraverso Cadeo si giunge a Fiorenzuola, la Floricum dell’itinerario di Sigerico della fine del secolo X. Qui era presente un’antica fondazione monastica, legata a quelle di Tolla e Gravago, lungo l’asse viario orientato verso Bardi e di qui, attraverso Borgo Val di Taro,verso i passi appenninici.
Purtroppo di questo edificio ben poco è rimasto per la franosità del terreno e per il probabile reimpiego di materiali.
Dopo Morfasso si giunge al passo del Pelizzone, attraverso cui ora si entra in provincia di Parma. Qui ci accoglie una casa, vigile come l’ospitale o xenodoco citato in antichi documenti piacentini dei secoli XIII e XIV.
Il percorso prosegue poi toccando Cogno e Gazzo per giungere a Bardi, centro di origine longobarda, la cui rupe di diaspro rosso é già incastellata nell’898.
Sempre a Bardi, documentata dall’anno 833, in località S. Protaso, chiamata Odolo nell’Alto Medioevo, sorgeva l’antica chiesa, sede anche di possessi del monastero modenese di Nonantola, fondato dal re longobardo Astolfo e dal cognato S. Anselmo.
Si doveva poi guadare il Ceno per raggiungere Gravago, con un castrum e un monastero, di cui resta traccia solamente nel nome della chiesa e del vicino gruppo di case.
Dopo Gravago, Osacca e il valico S.Donna, la strada raggiungeva Borgo Val di Taro, le cui origini altomedievali si identificano con la presenza dell’importante corte di Torresana, dipendente dal monastero di S. Colombano di Bobbio, che nel 1207 possedeva ancora cinque cappelle insieme alla Pieve di S. Giorgio, il cui arciprete era tenuto a ospitare l’abate di Bobbio con il suo seguito quando andava a Roma.
I passi del Borgallo, con l’ospitale di S. Bartolomeo, e del Bratello permettevano di raggiungere Pontremoli e la Via Francigena attraverso la Pieve di Vignola oppure il castello di Grondola.
Documento pubblicato
grazie alla concessione
e alla collaborazione
della Comunità Montana
delle Valli del Taro e del Ceno
Illustrazioni di Paolo Sacchi
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